di Geraldina Colotti
L’ingiustizia segue il suo corso. Implacabile. E travolge
in un meccanismo opaco incurante del merito, del diritto e della pietas,
la vita del sindacalista italo-brasiliano Henrique Pizzolato. Detenuto
nel carcere di Modena per reati finanziari che ha sempre negato, Pizzolato
viene estradato oggi in Brasile. Il ministro della Giustizia ha deciso di
eseguire il provvedimento senza aspettare la decisione della Corte europea
dei diritti dell’uomo a cui i difensori del sindacalista si
erano rivolti. Il senatore Luigi Manconi, che ha seguito il caso insieme alla
collega del Pd Maria Cecilia Guerra, ha giocato ieri l’ultima carta umanitaria:
ha rivolto un appello urgente al presidente della Repubblica Sergio Mattarella,
facendosi interprete di quello sottoscritto dai volontari
dell’associazione "Carcere e Città".
«In Brasile e in particolare nel complesso carcerario
cui è destinato il nostro concittadino — dice l’appello —
i rischi per l’integrità fisica e psicologica di Henrique Pizzolato
sono altissimi. Peraltro il trattato attualmente in vigore tra l’Italia
e il paese sudamericano esclude l’estradizione se i diritti fondamentali
della persona sono a rischio». Nonostante i passi avanti compiuti
dai governi progressisti di Lula e Rousseff, il livello di violenza
presente nelle galere brasiliane — regolate da disposizioni federali —
resta altissimo. Nel carcere di Papuda, a cui è destinato Pizzolato,
nel 2013 vi sono stati 2 suicidi, 14 omicidi, 30 morti. L’anno scorso,
gli omicidi sono stati 10 nei primi sei mesi.
Pizzolato ha la doppia cittadinanza. Quella italiana
l’ha acquisita nel 1994, come nipote di un decorato per meriti di guerra. E’
stato direttore di marketing del Banco do Brasil. Nel 2012, un tribunale
brasiliano lo ha condannato a 12 anni e 7 mesi per lo scandalo
del Mensalao, ritenendolo colpevole di corruzione e peculato.
Responsabilità che il sindacalista ha sempre negato, denunciando un
processo viziato all’origine, teso a colpire l’ex presidente Lula.
I diritti alla difesa dell’imputato sono stati violati fin
dall’inizio, hanno commentato autorevoli giuristi internazionali:
diverse prove che avrebbero potuto dimostrare l’innocenza di Pizzolato sono
finite in un’indagine parallela coperta da segreto: e ai difensori non
è stato permesso prenderne visione se non in un secondo momento. Per questo,
il sindacalista si è rivolto alla Commissione interamericana dei
diritti dell’uomo, dov’è pendente un procedimento, e anche alla Corte
europea dei diritti dell’uomo. Il processo per il Mensalao è stato
celebrato davanti al Supremo tribunale federale, massimo organo giurisdizionale
brasiliano, competente a giudicare i reati commessi da deputati
e ministri, la cui sentenza non ammette impugnazione. Il caso di Pizzolato,
che non ricopriva alcuna carica politica, avrebbe dovuto essere stralciato,
ma così non è avvenuto e il sindacalista non ha quindi potuto
ricorrere in appello. Per questo, ha deciso di fuggire e di rifugiarsi
in Italia.
Il 28 ottobre del 2014, la Corte d’Appello di Bologna ha
negato l’estradizione, riconoscendo il rischio di vita che corre Pizzolato
nelle carceri brasiliane. Condizioni che motivano la legge sul trasferimento
dei condannati italiani detenuti nelle carceri brasiliane, a cui
per questo è consentito espiare il resto della pena in Italia. Lo ha
sottolineato proprio la promotrice del disegno di legge, Renata Bueno.
La stessa che, però, ha condotto in prima persona la battaglia contro la
permanenza in Italia di Pizzolato: esprimendo il proprio compiacimento
quando, in aprile, il ministro della Giustizia ha consentito
l’estradizione a seguito del ricorso in Cassazione, sfavorevole al
sindacalista. In un’interrogazione urgente al ministro Orlando chiedono
i senatori Manconi e Guerra: «Quali pressioni ha subito
e subisce il Governo italiano?»
Da Il Manifesto, 7
ottobre 2015
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