sabato 20 giugno 2015

Per la prima volta l’Italia decide di estradare in Brasile un proprio cittadino



Quello che segue è il testo che il movimento in difesa di Henrique Pizzolato ha consegnato ai giornalisti durante la conferenza stampa indetta al Senato dal presidente della Commissione diritti umani Luigi Manconi, martedì 16 giugno scorso.


Con il decreto del 21 aprile 2015 il Ministero della Giustizia italiano ha accordato l’estradizione in Brasile di un suo cittadino, Henrique Pizzolato. Una decisione eccezionale, se si pensa che il Brasile non estrada, per dettato costituzionale, i cittadini brasiliani e che per questa stessa ragione – mancanza di reciprocità – l’Italia ha negato in passato allo stato sudamericano l'estradizione di un altro cittadino italiano.
Perché allora nel caso di Pizzolato è stata presa una decisione diversa?
Motivi giuridici per negare l’estradizione e per difendere Pizzolato e i suoi diritti, il Governo italiano ne ha molti e partono dall’art. 5 del trattato di estradizione tra Italia e Brasile firmato a Roma il 17 ottobre 1989. Fra le altre ragioni, il Governo italiano deve rifiutare l’estradizione di un suo cittadino: “a) se per il fatto per il quale è domandata, la persona richiesta è stata o sarà sottoposta ad un procedimento che non (ha)assicura(to) il rispetto dei diritti minimi di difesa.(...); b) se vi è fondato motivo di ritenere che la persona richiesta verrà sottoposta a pene o trattamenti che comunque configurano violazioni dei diritti fondamentali."

Il processo in Brasile
In Brasile Henrique Pizzolato è stato sottoposto a un processo che non ha garantito i suoi diritti di difesa. È stato giudicato unicamente dal Supremo Tribunale Federale che, per legge costituzionale, non potrebbe giudicare Pizzolato, un cittadino comune.
Dal momento che è stato giudicato direttamente e soltanto da questa Corte, Pizzolato non ha avuto il diritto di presentare appello contro la sentenza di condanna, situazione che configura la violazione di un diritto fondamentale di difesa: il diritto al doppio grado di giudizio.
In Brasile, Pizzolato è stato incastrato in un processo politico.
Un processo violentamente mediatico, perché era in gioco il mandato dell’allora presidente Lula, icona del Partito dei lavoratori (PT). L'accusa sosteneva l’esistenza di pagamenti illeciti (tangenti) ai parlamentari per approvare leggi a favore del governo di Lula. Le forze politiche che hanno partecipato a questo “gioco” sono stati i partiti politici che accusavano Lula, e i parlamentari e i rappresentanti del PT che volevano sottrarsi all’accusa. 40 persone sono state accusate dal Pubblico ministero, tra cui un ex-ministro del governo, dirigenti del PT e 6 parlamentari.
Pizzolato non era parlamentare, non faceva parte della direzione del PT, né del governo. Era un bancario, sindacalista legato al PT ed è stato utilizzato come una conveniente “spiegazione” dell'origine del denaro che gli accusatori dicevano fosse servito per pagare i parlamentari. Una spiegazione menzognera che ha però permesso al PT (il governo e i politici) di evitare di vedere proseguire le indagini in molte società pubbliche e private. La colpa è stata gettata sulla Banca del Brasile, o meglio, su un funzionario soltanto della Banca, Henrique Pizzolato, “il capro espiatorio”, con l'accusa di deviazione di denaro pubblico. Un'accusa facilmente smontabile già a una prima lettura dei documenti del processo: la stessa Banca del Brasile ha affermato che il denaro non era pubblico ma apparteneva a una società privata – Visanet –, che non era Pizzolato ad amministrarlo e che non avrebbe potuto, dalla posizione che ricopriva, ordinare pagamenti con quel denaro; la Visanet ha inoltre affermato che non c’è stata nessuna deviazione del proprio denaro.
Pizzolato è stato ingiustamente accusato, giudicato e condannato per atti che non erano sotto la sua responsabilità. Atti che sono stati eseguiti da altri esecutivi della Banca del Brasile come dimostrano TUTTI i documenti del processo.
In questo giudizio i media sono stati un elemento di violenta pressione. Uno dei giudici della Corte ha dichiarato che “tutti hanno votato con il coltello al collo” e che “la stampa ha messo la Corte con le spalle al muro”; un altro ha lamentato la pressione dei media, pressione fatta dai grandi mezzi di comunicazione brasiliani per la condanna di tutti gli imputati.
L’effetto di tutto questo è che molte gravissime violazioni si sono prodotte nel processo brasiliano: 
1) Violazione del principio di imparzialità del giudice. Il giudice, Joaquim Barbosa che ha guidato il processo, ha operato come investigatore nella fase di indagine e ha anche giudicato gli imputati: una chiara violazione del principio di imparzialità, principio che stabilisce che il giudice chiamato a giudicare non possa essere lo stesso che accompagna la fase di indagine;
2) Violazione del diritto di accesso alle prove. Prove fondamentali sono state nascoste in un fascicolo parallelo al processo principale, fascicolo secretato dal giudice, Joaquim Barbosa, che ha negato ai difensori degli imputati l’accesso alle prove;
3) Violazione del diritto al doppio grado di giudizio. Pizzolato è stato giudicato da un solo tribunale, incompetente per il giudizio dei cittadini comuni (violazione del “giudice naturale”), che ha negato il diritto di presentare appello (ricorso).
Le ingiustizie subite nel corso di questo procedimento hanno indotto Pizzolato alla fuga, consapevole del fatto che non avrebbe più potuto ottenere giustizia in Brasile. Pizzolato, che oltre a quella brasiliana ha anche la cittadinanza italiana (dal 1994), non è scappato per sottrarsi alla propria pena, ma per poter ottenere un processo giusto. Si è infatti sempre dichiarato disponibile a essere nuovamente processato in Italia, chiedendo quella giustizia che il Brasile non gli ha saputo garantire.

Il processo d'estradizione in Italia
In Italia, la Corte d’Appello di Bologna ha negato l’estradizione (28.10.2014) ritenendo che vi fosse il pericolo che l’estradando venisse sottoposto a trattamenti inumani e degradanti (violenze, torture e forse morte) a causa della situazione dei penitenziari brasiliani riconosciuta come endemicamente drammatica da organismi nazionali, internazionali e sovranazionali. La Corte ha ritenuto le rassicurazioni offerte dalle autorità brasiliane meramente formali perché “il fenomeno anche più allarmante della carenza di sicurezza, di illegalità, di violenza subite dai detenuti e dalle loro famiglie non può dirsi mutato [dalle iniziative prese, ma ancora ineficaci dal governo brasiliano] e permane il rischio che le condizioni di vita negli istituti penitenziari siano irrispettose dei diritti fondamentali della persona”. La Corte di Bologna conclude “lo stesso complesso carcerario di Papuda risulta teatro di recenti episodi di incontenibile violenza (detenuti uccisi) indicativi della estensione e diffusibilità del grave fenomeno di cui si è detto, qualità che rendono irrilevante che le aggressioni si siano verificate in settori diversi da quello cui sarebbe destinato il Pizzolato” (udienza del 28.10.2014, sent. 11217/2014 depositata il 4.11.2014)

La Corte di Cassazione ha annullato senza rinvio la sentenza della Corte d’Appello (11.02.2015). Eccezionalmente, la Corte di Cassazione ha fissato in tempi rapidissimi la discussione del ricorso presentato dallo Stato brasiliano e ha ribaltato il verdetto iniziale basandosi solo su documenti nuovi prodotti dal Brasile, i quali dicono che “una nuova ‘ala’, sezione, recentemente strutturata, riservata ai detenuti c.d. ‘vulnerabili’ è stata creata nel penitenziario di Papuda”. Chi firma questi documenti, dichiarando che “la sicurezza e i diritti di Pizzolato saranno rispettati”, é l’“autorità” che amministra il penitenziario di Papuda, la stessa autorità responsabile, anche solo per mancata custodia, di 16 omicidi di detenuti verificatisi negli anni 2013 e 2014.
La decisione della Corte di Cassazione che accetta come esistente e sufficiente la sezione c.d. “ala dei vulnerabili” nel penitenziario di Papuda è assolutamente discutibile, tenuto conto che alcuni Pubblici Ministeri brasiliani si sono già opposti alla creazione di questa “sezione speciale” in quanto violerebbe il principio costituzionale dell’uguaglianza di tutti i cittadini davanti alla legge (!).
La Corte di Cassazione ha annullato la sentenza della Corte d’Appello, senza rinvio. Passaggio formalmente scorretto, perché avrebbe dovuto rinviare i “nuovi elementi” alla Corte d’Appello per un supplemento istruttorio. Un caso eccezionale e strano: non sono stati riscontrati analoghi casi in cui la Cassazione abbia deciso di procedere in questo modo. La Corte di Cassazione, infatti, ha semplicemente lasciato che fosse il Ministro della giustizia a prendere una decisione prettamente politica “l’ulteriore verifica della validità e della concreta rilevanza delle assicurazioni fornite dallo Stato richiedente doveva essere effettuata dal Ministro della Giustizia, Autorità di Governo competente per l’emissione dell’eventuale decreto di estradizione, ciò in considerazione della loro peculiare dimensione politica intergovernativa” (udienza 11.02.2015, sent. 10965/15 depositata il13.03.2015).

Viste queste stranezze, non si può ignorare il parallelismo con la vicenda di Cesare Battisti. Non è un caso infatti che, proprio nei giorni in cui la Corte di cassazione accoglieva la richiesta di estradizione avanzata dallo Stato brasiliano nei confronti di Henrique Pizzolato, Battisti venisse arrestato da un giudice brasiliano che ne ha decretato l’immediata espulsione; espulsione che è stata evitata dal suo avvocato. È una coincidenza che non può non far pensare.

Un’ulteriore eclatante incongruenza è rappresentata dal fatto che Pizzolato è stato dichiarato estradabile poche settimane dopo che il parlamento italiano ha approvato un trattato bilaterale [legge n.17/2015] che consente ai cittadini italiani condannati in Brasile di poter scontare la pena in Italia. La motivazione per affrettare l’approvazione della legge è stata data dalla deputata italo-brasiliana On. Renata Bueno secondo cui: “sono note le condizioni disumane e intollerabili in cui vivono i tanti detenuti italiani e di altre nazionalità che stanno scontando la pena nelle sovraffollate carceri brasiliane, contrarie al rispetto dei diritti umani”.


Il Parlamento italiano ha quindi riconosciuto che i penitenziari brasiliani sono assolutamente inadeguati a garantire la tutela dei diritti umani dei detenuti e, nonostante ciò, il Ministro ha ignorato tale dato. Così come ha ignorato l’interrogazione del 26 febbraio 2015 presentata da ventuno senatori italiani, che hanno allertato il Governo sul rischio di torture e violenze cui Pizzolato andrebbe incontro nelle carceri brasiliane. Torture e violenze ammesse candidamente dallo stesso Ministro della giustizia brasiliano, José Eduardo Cardozo, il quale ha recentemente dichiarato che preferirebbe “morire piuttosto che scontare una pena nelle carceri brasiliane” e che le prigioni brasiliane sono vere scuole del crimine”, riferindosi alle organizzazioni criminali esistenti all`interno delle carceri.

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