giovedì 7 maggio 2015

Perché siamo dalla parte di Henrique

Don Angelo Lovati*

Ho conosciuto il sig, Henrique Pizzolato nel febbraio 2014, detenuto presso la Casa Circondariale “S. Anna” di Modena, dove svolgo il servizio di cappellano. Successivamente, dopo la sua momentanea scarcerazione, l’ho incontrato di frequente anche nella mia parrochia di Ubersetto in occasione della celebrazione della s.messa ed ora, da qualche tempo, lo vedo di nuovo al “S. Anna”.

Richiesto dalla moglie Andrea e dallo stesso Henrique di offrire una mia testimonianza, nell’intento di contribuire ad impedire l’estradizione in Brasile, ritengo di poterla fornire nei seguenti termini.
Sono dalla parte di Henrique perché, a seguito di una’ampia documentazione, che mi è stata offerta da più parti in questi mesi, ho fondato motivo di ritenere che, in Brasile, non siano rispettati i diritti umani più elementari all’interno delle carceri (questo non mi esime dal dire che – dopo nove anni di servizio, come cappelano – seri problemi relativi al rispetto dei diritti umani, anche se di minor gravità, in confronto a quel Paese, esistono anche nel nostro sistema penitenziario).
Quanto alla persona di Henrique, non esito a dichiarare, senza remora alcuna che, in lui, da subito, ho colto tanta ricchezza d’animo: intelligenza e umanità, accompagnate da un sentimento religioso molto profondo. Impressioni che hanno trovato ampia conferma in me anche nei mesi di temporanea libertà, dopo la prima detenzione ed ora, di nuovo, al “S. Anna”. Persona mite e massimamente rispettosa nei confronti di chiunque e, sotto il profilo squisitamente religioso: una grande fede, vissuta con semplicità e profondità.
Nel rendere questa mia testimonianza e, dopo averne parlato con lo stesso Henrique, mi astengo dall’entrare nel merito del “problema strettamente giudiziario”.
So che Henrique, sorretto da fede sincera e profonda, ogni giorno non tralascia di rivolgersi a Dio con le parole del Salmo: “Scrutami, Dio, e conosci il mio cuore...” (139), fiducioso che questa quotidiana, sofferta sua preghiera, possa trovare legittimo appagamento, conforme alle attese sue e della moglie Andrea.
Nel mio rendere questa testimonianza, tengo a precisare che lo faccio, soltanto ora e dopo diverse sollecitazioni, senza altra ambizione, che quella di “essere segno”, anche in questa particolare circonstanza e, assieme a tanti altri, che operano sia all’interno che al di fuori del carcere, con la consapevolezza di essere, in quanto cappelano, inviato dalla e parte della Chiesa, che è in Modena, chiamata, dal suo Signore, ad essere presente anche in questa “periferia esistenziale” (Papa Francesco), come segno di misericordia e di esperanza.

*cappellano del carcere S. Anna

(pubblicato nel settimanale cattolico modenese, Nostro Tempo, 3 maggio 2015)

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