lunedì 27 aprile 2015

Pizzolato ritorna in Brasile: diritti negati un'altra volta


“Pizzolato sarà estradato dall’Italia senza avere ottenuto il diritto costituzionale che gli è stato negato dalla Giustizia brasiliana: il secondo grado di giudizio”, dice Paulo Moreira Leite, giornalista e direttore del Brasil247 di Brasilia. “Difficilmente la fuga in Italia ci sarebbe stata se nell’agosto del 2012, all’inizio del processo, il Supremo Tribunale Federale avesse assicurato a lui, e agli altri accusati nella azione penale n.470, il diritto al secondo grado di giudizio”.


di Paulo Moreira Leite - giornalista brasiliano, è autore del libro “Un'altra storia del Mensalão”
25 aprile 2015

Il ritorno di Henrique Pizzolato non è una scelta utile al Brasile né ai brasiliani. I lettori di questo spazio sanno qual è la mia opinione su questo caso. Sono convinto che il Supremo Tribunale Federale (Corte suprema) ha condannato Pizzolato a 12 anni e sette mesi di carcere senza disporre di prove sufficienti, in quel contesto di persecuzione e spettacolo mediatici che ha segnato il processo dell’azione penale n.470.
Ma lasciamo da parte, per un minuto, questi argomenti. L’elemento principale, dal punto di vista dei diritti fondamentali, è che il ritorno forzato in Brasile ha impedito che Pizzolato avesse accesso, almeno in Italia, a un diritto costituzionale che la Corte suprema brasiliana ha negato a tutti gli accusati della azione penale n.470: un secondo grado di giudizio.
La Costituzione federale garantisce a ogni comune cittadino brasiliano così come agli stranieri il diritto di un secondo grado di giudizio, la garanzia di poter ricorrere in appello a un altro tribunale. Questo perché si considera non solo che i giudici siano fallibili, come lo sono tutti gli esseri umani, ma che la libertà è un bene troppo prezioso e deve essere protetta da mani incompetenti e giudici condizionabili.
In Italia, Pizzolato avrebbe potuto ottenere un secondo giudizio – nel caso avesse convinto la giustizia di quel paese a offrire questa opportunità a un condannato che ha la cittadinanza italiana. Non è successo ma sarebbe stata una buona cosa per il paese.
L’Italia non è solo il paese di Mani Pulite. È anche il luogo in cui il professore Luigi Ferrajoli ha costruito la teoria garantista, che sostiene che il principale compito della giustizia deve essere la protezione delle garanzie individuali davanti allo Stato. È stata una dottrina necessaria a un paese che si è trovato a dover giudicare il terrorismo delle brigate rosse e di altri gruppi armati negli anni ‘70 e ‘80. Non a caso il garantismo ha ricevuto la benedizione di Norberto Bobbio, uno dei più importanti intellettuali in quegli anni.
Anche se non è possibile anticipare la sentenza finale, un secondo giudizio permetterebbe di guardare con nuovo sguardo le prove e le denunce che tra il 2005 e il 2012 furono esaminate in un contesto fortemente politicizzato, tendenzioso e “mediatizzato”. Fatti e testimoni che potevano essere determinanti per la difesa furono nascosti in una inchiesta parallela, secretati in un fascicolo che non poté essere visionato da altri giudici: solo il giudice Joaquim Barbosa (che ha guidato il processo) e il pubblico ministero Antônio Carlos Fernando de Sousa ebbero accesso integrale a questi documenti.
In questa inchiesta finirono archiviate e nascoste diverse scoperte interessanti. Per esempio è tra quelle carte che si può scoprire che Pizzolato, condannato per aver liquidato somme di denaro – che, secondo la accusa, furono usate dai dirigenti del PT (partito dei lavoratori) per comprare voti dei parlamentari -, non è mai stato responsabile della gestione di questo denaro, né ha liquidato o effettuato pagamenti con questo denaro. Pizzolato non liquidò 1 centesimo, tanto meno i 55 milioni di reais che, sempre secondo la accusa, sono il totale denunciato nella azione penale n.470.
Questo denaro era stato movimentato dalla firma di altro direttore della Banca del Brasile, convenientemente tenuto lontano dall’elenco degli accusati, perché questo personaggio non aiutava il PM a provare la sua versione dei fatti, ricostruita al fine di accusare il PT (Partito dei lavoratori). Lì si trova anche una novità scioccante. Una relazione di controllo eseguita dalla Banca del Brasile che conclude, dopo un esame serio e professionale, che il denaro di cui si chiedeva conto nell’impianto dell’accusa, non apparteneva alla Banca del Brasile, non era denaro pubblico. Il denaro apparteneva ad una a società privata, Visanet, che non ha mai ha registrato la mancanza di questo volume gigantesco di soldi nella sua contabilità.
Ecco perchè un secondo grado di giudizio potrebbe finalmente prendere in considerazione le prove e i documenti che dimostrano come il denaro della Visanet non sia stato deviato, bensì normalmente utilizzato nelle campagne pubblicitarie della marca Visa.
La possibilità che fatti così eclatanti, avvenuti nel processo svolto in Brasile, potessero essere rivelati e dibattuti in un paese straniero, aiuta a comprendere lo sforzo del Pubblico Ministero per garantire che Pizzolato fosse estradato in Brasile senza incidenti di percorso, senza un altro giudizio. Il PM - l'accusatore di Pizzolato - si è messo nella posizione di parlare in nome dello Stato Brasiliano nelle negoziazioni con le autorità italiane, una posizione che, nell’interpretazione giuridica corrente, spetta ai leader eletti del paese: il PM non è eletto dal popolo e non ha la competenza per parlare in nome degli interessi del Brasile, giusto?
Non pretendo di giudicare Pizzolato per la decisione di fuggire. Ognuno sa come reagirebbe davanti a una minaccia alla propria libertà, specialmente in funzione di una decisione che considera assolutamente ingiusta, inaccettabile. Ed è così che egli giudicava la condanna ricevuta dalla Corte suprema brasiliana.
Ma è innegabile che, nel lasciare il Brasile, Pizzolato pretendeva e confidava – pur se per vie contorte – di ottenere un diritto che la giustizia brasiliana gli aveva negato. La fuga difficilmente ci sarebbe stata se nell’agosto 2012, all’inizio del processo, Il Supremo Tribunale Federale avesse assicurato a lui, e agli altri imputati nel processo (azione penale n.470), il diritto al secondo grado di giudizio.

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