venerdì 20 marzo 2015

Una rosa per Pizzolato

Il deserto di Atacama in Chile è tra i più aridi del mondo. Le rose di Atacama, del colore del sangue, sbocciano nel deserto cileno per un solo giorno all'anno. Queste rose sono il simbolo di una natura che non si arrende nemmeno a se stessa.



Mi chiamo Andrea e sono moglie di un detenuto.
Mio marito si chiama Henrique Pizzolato. Henrique è stato arrestato a Modena nel febbraio del 2014. Si trova tuttora nel carcere di questa città in attesa che il Ministro della Giustizia italiano decida sulla richiesta d’estradizione presentata dal Brasile.
Henrique è cittadino italo-brasiliano. Ha lavorato in Brasile come un funzionario di banca per più di trent’anni. Da sempre legato ai movimenti sindacali e sociali, è stato trascinato in un processo politico che ha coinvolto altri 40 accusati, sostenuto da una violenta campagna mediatica contro i partiti di sinistra.
Per Henrique si è trattato di un processo kafkiano. Le accuse che gli hanno rivolto non sono supportate da documenti e prove. Il giudice che ha condotto il processo ha negato l’accesso a importanti prove per la difesa, ne ha nascoste altre ed Henrique è stato condannato in un giudizio politico svoltosi davanti ad un unico tribunale che ha emesso una sentenza inappellabile.
I trattati internazionali sui diritti umani firmati dal Brasile garantiscono che ogni persona, senza distinzione, ha il diritto a un processo giusto. Ha il diritto cioè a un giudice imparziale, a conoscere le prove, a un riesame della questione da parte di un diverso organo giudicante. Questi diritti, nel processo che Henrique ha subito in Brasile, sono stati negati.
Mio marito – che ha la cittadinanza italiana – è fuggito in Italia nel tentativo estremo di ottenere la giustizia che gli è stata negata in Brasile.
Il 28 ottobre, la Corte d’Appello di Bologna ha negato l’estradizione richiesta dal Governo brasiliano rilevando il rischio che Henrique potesse subire trattamenti disumani e degradanti nelle carceri brasiliane, riconoscendo la validità di molte risultanze delle organizzazioni per i diritti umani in merito alle condizioni in cui versano i penitenziari brasiliani e all’assenza di garanzie per la sicurezza di Henrique, mia e dei nostri familiari. L’11 febbraio la Corte di Cassazione ha incredibilmente annullato la sentenza della Corte d’Appello, anche se non vi è stato alcun cambiamento o miglioramento delle condizioni nelle carceri brasiliane.
Ora la decisione sull’estradizione è nelle mani del Ministro della Giustizia italiano.
È difficile spiegare quanto sia terribile per una persona sapere che il proprio destino e la propria vita dipendano dalla decisione di qualcuno che non si è mai conosciuto.
Henrique, pur avendo subito molte ingiustizie ancora crede nella giustizia! Questo mi commuove molto. Crede nella giustizia nel suo senso più ampio: nella giustizia dei tribunali, nella giustizia della verità contenuta nelle prove e nei documenti, nella giustizia di Dio. Una giustizia che chiunque può ottenere se si trovano persone disposte ad ascoltare, a comprendere e a combattere per Lei.
Ho conosciuto Henrique all’epoca della dittatura, nei movimenti studenteschi, durante gli anni dell’università. Combatteva per la giustizia di molti. A distanza di 35 anni si trova ancora a combattere, ma per ottenere la “sua” giustizia. Con una penna e un foglio di carta, dalla cella del carcere di Modena scrive sul suo caso e invia per posta i suoi appelli alle associazioni di difesa dei diritti umani chiedendo loro aiuto.
Io qui fuori, senza godere della sensazione di essere libera, combatto insieme a lui. Cerco di superare la mia timidezza, di parlare e scrivere in una lingua, l'italiano, che non ho avuto il tempo di imparare bene. Cerco di non abbattermi ogni volta che leggo articoli di giornale che non raccontano la verità su Henrique. Cerco di non lasciarmi turbare, né di abbandonare ogni speranza quando leggo una sentenza piena di fraintendimenti ed equivoci. Cerco di mantenere la calma anche se il pensiero che non mi abbandona mai è che l’estradizione di Henrique potrebbe significare una condanna alla tortura o forse alla morte.
Cerco di trovare qualcosa di buono in questa sofferenza, qualcosa che mi dia la forza di continuare a combattere. Non è facile combattere contro qualcosa più grande di noi, affrontare da sola due Stati, con i loro poteri, la loro “ragione”, i loro interessi politici ed economici, in nome dei quali possono sacrificare, con una semplice firma, la vita di una persona sconosciuta.
Cerco di trovare la nostra rosa di Atacama, il nostro fiore nel deserto. Non è facile. Ma so che esiste.

Andrea Haas

1 commento:

  1. Nessuna arma fabbricata dal nemico contro di te,avrà successo.la nostra speranza è solo in Gesù nostro Signore e Salvatore.

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